Dite addio al culto del sans-serif minimalino e alle palette beige da showroom scandinavo: nel 2025, i brand hanno deciso che è tempo di alzare la voce — e pure il corpo del testo. Il nuovo mantra? Più grande, più teatrale, più glitchato. No, non è una crisi di mezza età del design: è una rivoluzione visiva con tanto di ritorno alle emozioni, ai serif che sembrano usciti da un romanzo dell’Ottocento e alle scritte giganti che ti urlano contro (ma con amore). In questo articolo, niente nostalgia del bianco totale. Solo uno sguardo lucido, ironico e sensibile ai trend che stanno riscrivendo le regole dell’identità visiva nel 2025.
- Dall'uniformità al carattere: la nuova diversificazione visiva
- Maxi-font, serif e glitch: non solo una moda
- Il linguaggio visivo diventa esperienza emotiva
- Copy emozionale: parole che creano legami
- I rischi dell'omologazione estetica al contrario
- Risorse da smanettoni: dove trovare font gratuiti e originali
- Mini-case: chi lo sta facendo bene (e perché funziona)
- Conclusioni: oltre lo stile, la verità
1. Dall'uniformità al carattere: la nuova diversificazione visiva
Per anni abbiamo creduto che il minimalismo fosse sinonimo di raffinatezza. Poi, un giorno, ci siamo svegliati e abbiamo scoperto che ogni sito sembrava la homepage di un brand di skincare nordico.Ora, complice la nausea da “troppo pulito” e un certo bisogno di distinguersi tra le masse digitali, i brand stanno tornando a far casino. Ma un casino strategico, eh. Con glitch ragionati e serif scelti come se fossero profumi. Sperimentare non è più un rischio: è sopravvivenza. Chi resta neutro, scompare.
2. Maxi-font, serif e glitch: non solo una moda
Non si tratta più di tendenze passeggere o di provocazioni estetiche. L'adozione di font giganti, serif vistosi e glitch visivi è diventata una dichiarazione d'intenti per molti brand: attirare l'attenzione in un contesto ipervisivo, ma soprattutto comunicare un posizionamento unico, autentico e contemporaneo.
I maxi-font non servono solo a colpire. Servono a far sentire la propria voce in un feed affollato, a segnare lo spazio con una presenza inconfondibile. Sono un gesto teatrale che obbliga lo spettatore a fermarsi, leggere, respirare. Quando usati in apertura di pagina o headline, diventano grida visive che impongono ritmo e personalità.
I font serif, una volta considerati classici, sono stati riscoperti e ricontestualizzati. Le grazie marcate e le forme sofisticate portano con sé una narrazione più umana e letteraria. In un'epoca di ipersemplificazione, la scelta di un serif ben costruito può evocare fiducia, artigianalità, profondità.
Il glitch, invece, è la poetica dell'imperfezione. Proveniente dal mondo dell'estetica cyberpunk e postdigitale, il glitch racconta un mondo rotto, incompleto, vulnerabile. Un mondo che assomiglia sempre di più al nostro. Inserire elementi glitchati in una brand identity non è solo "fare il moderno": è un modo per dire che la perfezione non è il fine, ma il processo.
Un esempio emblematico è il rebranding di Pitch, la piattaforma di presentazioni digitali, che ha scelto di integrare serif imponenti, micro-animazioni glitch e un linguaggio visivo modulare. Il risultato è un'identità forte, originale, che trasmette innovazione senza perdere umanità.
In sintesi, questi elementi non funzionano per tutti. Ma quando scelti con consapevolezza, possono trasformare una semplice estetica in una dichiarazione culturale. Un brand che osa con tipografia e visual storytelling oggi non sta solo cercando attenzione: sta cercando appartenenza.
3. Il linguaggio visivo diventa esperienza emotiva
Cosa accade quando un'immagine non si limita a mostrare, ma riesce a far sentire? Questo è l'obiettivo che molti brand stanno inseguendo nel 2025: trasformare il linguaggio visivo in un'esperienza emotiva, sensoriale, quasi intima.
La brand identity contemporanea è costruita come un percorso: ogni elemento — font, colori, layout, motion design — non è scelto per convenzione, ma per evocare. Non più solo "bello e coerente", ma "vivo, sentito, memorabile".
La neuroscienza conferma: il cervello umano elabora più rapidamente e profondamente le informazioni visive, soprattutto se connotate da movimento e colore. L'uso sapiente della motion graphic ad esempio (come nel caso di Squarespace, Adobe Express o Notion) non solo aiuta l'attenzione, ma crea una danza narrativa capace di comunicare tono, energia, personalità.
E poi ci sono i microdettagli: un bordo che vibra, una transizione che respira, una texture che ricorda la carta. Sono questi gli elementi che spesso creano connessione. Perché rendono tangibile il pensiero umano dietro il design. Il sito di Mailchimp, ad esempio, utilizza illustrazioni animate minimali e microinterazioni calde per dare vita a un tono amichevole e ironico, distinguendosi nel settore tech.
Anche i colori oggi non sono mai neutri. Secondo una ricerca di Adobe Digital Trends, palette sature e irregolari hanno un impatto emozionale più marcato rispetto a quelle armoniche e tradizionali. Il rebranding di Dropbox ne è un esempio: ha abbandonato il blu istituzionale per una gamma di colori energici e imprevisti, diventando più dinamico, giocoso, creativo.
Un altro aspetto chiave è la coerenza emotiva tra canali: social, sito, newsletter, packaging devono raccontare la stessa storia, ma con linguaggi visivi adattati. Il brand diventa così un organismo narrativo, capace di cambiare forma senza perdere identità.
Un esempio virtuoso è Glossier, che unisce packaging soft-touch, tipografia femminile e campagne digitali iper-personali, mantenendo coerenza tra fisico e digitale. Oppure Oatly, il brand svedese di bevande vegetali, che usa disegni fatti a mano, scritte imperfette, toni sarcastici e layout volutamente destrutturati per comunicare umanità, ironia e disobbedienza.

In questo scenario, progettare una brand identity significa molto più che assemblare pezzi di design: è creare un'esperienza sensoriale che accompagna le persone. E le emozioni non si dimenticano facilmente.
4. Copy emozionale: parole che creano legami
In un mondo dove la velocità è diventata norma e l’informazione è sovrabbondante, le parole stanno riconquistando il loro valore primordiale: quello di far sentire. Il copywriting emozionale non è più un vezzo creativo, ma una necessità strategica. Le neuroscienze del comportamento ci spiegano che una comunicazione che stimola l'emozione attiva aree più profonde del cervello, favorendo il ricordo e la fiducia. Lo storytelling, l'uso di frasi brevi, ritmi naturali, pause visive e metafore concrete diventano strumenti essenziali per creare legami. Il tono umano oggi batte ogni algoritmo. Non servono frasi ad effetto, ma parole autentiche. Non serve sorprendere, ma connettere. Un brand che racconta con onestà ci somiglia di più, e ci rimane più vicino.
Esempi reali?
- Monzo (banca digitale UK): copy chiaro, ironico, diretto. Sembra parlare come un amico, non come un istituto finanziario.
- Headspace: usa un tono rassicurante, gentile, con parole che rilassano ancor prima che il prodotto inizi a funzionare.
- Zalando (campagna "Free To Be"): ha scelto copy potenti e inclusivi che celebrano diversità e libertà personale.
Questo tipo di scrittura non è improvvisata. Richiede studio della psicologia del lettore, scelta lessicale accurata e un'immersione vera nella cultura del brand.
3 principi chiave per un copy emozionale efficace:
- Empatia reale: scrivi come se conoscessi la persona che leggerà.
- Concretezza visiva: usa immagini mentali, non astrazioni. "Odore di pane" funziona più di "esperienza positiva".
- Ritmo e respiro: frasi brevi, pause, musicalità. Il copy emozionale va ascoltato dentro.
Quando le parole toccano, aprono. Quando aprono, fidelizzano. E in un panorama saturo, ciò che emoziona è ciò che resta.
5. I rischi dell'omologazione estetica al contrario
Quando un trend diventa dominante, anche il linguaggio visivo che lo accompagna rischia di svuotarsi. È il paradosso dell’omologazione estetica al contrario: nel tentativo di essere diversi, tutti iniziano a somigliarsi.
Nel 2025, glitch, serif teatrali e layout destrutturati stanno proliferando ovunque. Ma ciò che nasce come gesto creativo rischia di diventare schema ripetuto. E quando la dissonanza diventa standard, perde la sua forza di rottura.
La creatività non può essere automatizzata. Eppure, strumenti come Canva, Notion AI o template marketplace stanno facilitando una diffusione di estetiche preconfezionate. Il risultato? Brand visivamente "cool", ma concettualmente vuoti.
Esempi tipici:
- Portfolio creativi con glitch finti, solo perché “funziona su Dribbble”.
- Landing page con titoli serif sovradimensionati, senza alcuna corrispondenza nel tono del messaggio.
- Animazioni continue che confondono più che valorizzare.
Il problema non è lo stile, ma la mancanza di intenzione.
Come evitarlo?
- Ritornare al “perché” visivo: ogni scelta deve partire dal messaggio e dai valori del brand.
- Curare la coerenza narrativa: tipografia, motion, immagini devono servire la stessa storia.
- Evitare la moda se non ti appartiene: un'estetica forzata crea disconnessione.
Brand come Patagonia o Duolingo resistono a questi cliché proprio perché non rincorrono l’estetica del momento. Si rinnovano, ma restano fedeli a un’identità profonda.
In un mondo dove tutti possono “glitchare” un font, l’atto davvero sovversivo è tornare a creare con verità. Non per stupire, ma per comunicare davvero.
6. Risorse da smanettoni – dove trovare font gratuiti e originali
Vuoi fare il figo tipografico ma senza budget da multinazionale? Lascia perdere DaFont, oggi considerato il fast fashion dei font. Ecco una lista curata di risorse aggiornate, autorevoli e gratuite da cui attingere per creare una brand identity davvero distintiva.
- Velvetyne Type Foundry – Una fonderia francese che offre font open-source sperimentali e dallo stile inconfondibile. Ideale se cerchi qualcosa di audace e fuori dagli schemi.
- The League of Moveable Type – Storica fonderia open-source americana. Font eleganti e con personalità, pensati per il web e la stampa.
- Collletttivo – Collettivo italiano di designer che sviluppa tipografie contemporanee, accessibili e con un tocco ironico.
- Fontshare – Iniziativa dell’Indian Type Foundry: tutte le font sono gratuite e utilizzabili per progetti commerciali. La qualità è sorprendentemente alta.
- Fontsquirrel – Directory di font curata e con licenze commerciali verificate. C'è anche un tool per identificare font caricando un'immagine e molto altro...
- Google Fonts – Oltre 1.800 famiglie tipografiche open-source. Perfette per web design e integrazione API.
- Future Fonts – Piattaforma per fonderie indipendenti. Molti font sono in beta e disponibili gratuitamente o a prezzo accessibile.
- Fontspace – Oltre 150.000 font con moderazione e licenze verificate. Ideale per chi cerca varietà e immediatezza.
- Unblast – Curata selezione di font gratuiti per progetti creativi, display o branding.
- Open Font Library – Oltre 6.000 font sotto licenza libera (CC0 e OFL). Ottima fonte no-profit e open.
- Awwwards Free Fonts – Collezioni selezionate di font premiati e consigliati da designer internazionali.
- WhatFontIs – Strumento di identificazione font: carichi un'immagine e trovi alternative (gratuite e a pagamento).
- Fontpair – Risorsa per abbinamenti font efficaci, soprattutto tra serif e sans, partendo da Google Fonts e Fontshare.
📌 Consigli operativi:
- Controlla sempre le licenze prima di usare i font in progetti commerciali (OFL, SIL, Apache...)
- Per il sito usa woff2!
- Scegli font con più pesi e stili per garantire flessibilità narrativa.
- Usa WhatFontIs o Fontspring Matcherator per trovare alternative visive credibili a font premium.
- Tratta il font come uno strumento narrativo: ogni curva e spaziatura comunica.
Un buon font non è solo una bella forma. È voce, tono, presenza.
7. Mini-case – chi lo sta facendo bene (e perché funziona)
Nel panorama iper-visuale del 2025, i brand che riescono davvero a emergere sono quelli che non adottano semplicemente uno stile, ma lo abitano. La coerenza tra visual, copy e tono di voce è ciò che li rende memorabili. Ecco alcune mini-case significative:
1. A24 – Cinema con voce visivaLo studio cinematografico A24 ha ridefinito la comunicazione visuale del settore. Usa font serif teatrali, impaginazioni volutamente sbilanciate, un’estetica che richiama i magazine d’avanguardia. Il tutto accompagnato da un tono secco, minimale, diretto. Ogni elemento comunica indipendenza e spirito autoriale. Perché funziona: Perché il linguaggio visivo è coerente con la qualità e lo stile narrativo dei film. Non è decorazione, ma estensione del brand.
2. Mirror.xyz – Web3 ma eleganteNel mondo spesso caotico del Web3, Mirror ha scelto una brand identity sorprendentemente elegante. Tipografia serif elegante, spazi bianchi, microanimazioni controllate, colori tenui. Tutto comunica calma, professionalità e avanguardia. Perché funziona: Perché rompe le aspettative visive del settore tech, proponendo una nuova grammatica comunicativa.
3. Not Boring – Scrittura che emoziona (anche visivamente)La newsletter di Packy McCormick usa font oversize, layout destrutturati, glitch sottili e una scrittura brillante. Sembra un laboratorio tra blog, manifesto e magazine. Perché funziona: Perché ogni elemento è coerente con l’identità di un autore che unisce business, tech e filosofia con uno stile personale.
4. Kin Euphorics – Bevande, sensazioni, identitàIl brand di bevande nootropic ha costruito una brand identity multisensoriale: font retro-futuristi, colori psichedelici, packaging con texture soft-touch, un copy spirituale ma accessibile. Perché funziona: Perché ogni dettaglio racconta l’effetto sensoriale del prodotto. Il design diventa storytelling liquido.
5. Framer – Strumenti per creativi, estetica da creativiFramer ha adottato una comunicazione audace: font sperimentali, colori accesi, animazioni vive e una UX che invita all’esplorazione. Perché funziona: Perché parla allo stesso linguaggio visuale dei suoi utenti: designer, art director, product team.
Questi brand non si limitano a seguire una moda. Usano l’estetica per generare senso, creare emozione, costruire fiducia. E quando ogni elemento diventa narrazione, il brand smette di essere riconoscibile solo per un logo, e diventa una presenza viva nella mente e nel cuore delle persone.
8. Conclusioni: oltre lo stile, la verità
Alla fine, non è questione di font o layout. È questione di onestà. Di intenzione. Di voler dire qualcosa davvero. Nel 2025, la brand identity è un atto di coraggio: urlare piano ma con stile, commuovere senza dramma, restare nei cuori con una virgola ben piazzata.
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